Sporchia o Orobanca

Sporchia, Lupo di Fave, Orobanca ,Succiamele delle Fave

Dal greco “orobos” = legume e “anchein” = strozzare, fa riferimento al legame parassitario tra le piante di questo genere e diverse Fabaceae.

La più comune è l’orobanca crenata, Il termine Crenata fa riferimento al bordo dei petali con denti arrotondati. La parte commestibile è il germoglio non fiorito.  Una volta fiorita non è più commestibile. Per evitare il fenomeno dell’infiorescenza, una volta raccolta è bene evitare di tenerla per lunghi periodi al caldo o in luoghi poco aerati per ridurre al minimo questo fenomeno .

Il succiamele delle fave ,o comunemente chiamata nel dialetto del sud barese “Sporchia” ,è una pianta annua a distribuzione mediterraneo-turanica, di antica introduzione con l’espansione dell’agricoltura ,presente in tutte le regioni d’Italia tranne che in Piemonte, Val d’Aosta e Trentino-Alto Adige.

Cresce soprattutto su  piante della famiglia delle Fabaceae coltivate ,fava, lenticchia, veccia, trifoglio etc., dal livello del mare alla fascia montana. Si tratta di una pianta erbacea priva di clorofilla, parassita poiché nasce e si alimenta di linfa sottratta alle radici delle piante delle fave.

I contadini in origine  quando non si conoscesse la bontà di questa pianta parassita , procedevano con l’estirpazione e in alcuni casi l’essicazione e la messa al fuoco delle piante; si tenga conto che, l’azione di queste piante, ha per conseguenza il progressivo indebolimento e il ridotto sviluppo di quelle parassitizzate, con conseguenti danni al raccolto.

Con il passar del tempo, la povera manovalanza agricola che la combatteva nei campi, soprattutto per necessità, ha imparato a scoprirne il suo tipico sapore dolce con retrogusto amaro, utilizzandola sempre con maggiore frequenza nella propria alimentazione

orobanca in coltivazioni di fave
Orobanche in coltivazione di fave

Prima di esser mangiata, và  recisa la parte inferiore, generalmente più dura ,risciaquata accuratamente per rimuovere a fondo i granelli di terra trattenuta dalla peluria che la ricopre, e poi lessata per cinque minuti circa, per un’adeguata cottura e tenerla in un contenitore per un paio di giorni circa, con frequenti ricambi d’acqua per “spurgarla” delle tossine che la rendono particolarmente amara. Infine, strizzarla delicatamente, per fare in modo che sia eliminata l’acqua trattenuta e condirla con olio extravergine aglio e menta  e accompagnarla con un purè di fave bianche o in alternativa è possibile farla fritta o a frittata. Provate per credere ne rimarrete entusiasti

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