È difficile dare una data precisa alla nascita del panettone ma pare che già a partire dal ‘400 fosse nota la ricetta del suo primo antenato.
La storia del panettone è immersa nella leggenda ed esistono almeno due versioni dei fatti. Entrambi i racconti sono di origine milanese e fanno risalire la nascita del dolce ai tempi di Ludovico il Moro, duca di Milano (XIV secolo).
Figlio di una storia di amore: la prima leggenda
La prima leggenda narra che il dolce sia nato da una storia d’amore: Ughetto degli Atellani, nobile cavaliere milanese, si finse garzone del fornaio Toni per conquistare la bella Adalgisa. Fu proprio il cavaliere ad inventare la prima ricetta del panettone, preparando un pane dolce ricco di uvetta e scorze candite di arancia e cedro che divenne famoso come “pane del Toni“.
“Era el pan de Toni”: la seconda leggenda
La seconda invece sembra essere quella più accreditata: Milano e la nebbia, quella che ti entra nelle ossa, quella che ti entra nelle narici. La nebbia che ti fa perdere il senso del tempo. La nebbia che fa rimanere tutto uguale e che rende le giornate di Milano interminabili. È tra i vicoli di questa Milano che si aggirava Toni, giovane “Milanesotto” vivace e volenteroso. Toni era il più piccolo di 5 fratelli e come tanti nella sua condizione era furbo e talvolta svogliato. Si aggirava, a caccia di qualche lavoretto per la famiglia, presso il Naviglio di Fatebenefratelli forse sfuggendo a qualche creditore.
Toni, a causa della ressa della gente che abitava la zona e del caos che anticipa le feste Natalizie, finisce nella bottega del pane di Brera. Entra che è un giovincello, esce con un lavoro, come sguattero presso la corte del Duca Lodovico e le Reali Cucine. Dovrà lavare e darci di olio di gomito durante la cena della Vigilia. La grande notte di Natale è arrivata e gli occhi di Toni raccontano la visione di una cena regalevista da chi dovrà lavare centinaia di piatti. Il grande Cuoco Reale gestisce la cucina come fosse un castello: stesse gerarchie, stessi sotterfugi e stessa cattiveria. La cucina è spietata come i reali che la reggono.
Così come anni prima, il Ducato meneghino ha visto una spietata lotta di successione e anche la Cucina Reale vedeva in quei giorni una lotta senza pietà tra i due chef che la presiedevano. Ognuno aveva la sua fazione e si dà il caso che uno di questi sguatteri faziosi diventa proprio l’autore di un sabotaggio: il dolce è compromesso, la pasta bruciata. Ed ecco che viene fuori il gesto istrionico dell’esuberante Toni: lavare i piatti lo annoia da morire e si mette a fare un dolce con gli avanzi di dispensa: il poco impasto dolce che non si è bruciato, zucchero, uova, cedro candito e uvetta. Lo aveva fatto per gli sguatteri al lavaggio piatti, era un piatto povero per i poveri, era El Pan De Toni.
Pietro Verri narra di un’antica consuetudine che nel IX secolo animava le feste cristiane legate al territorio milanese: a Natale la famiglia intera si riuniva intorno al focolare attendendo che il pater familias spezzasse “un pane grande” e ne porgesse un pezzo a tutti i presenti in segno di comunione. Nel XV secolo, come ordinato dagli antichi statuti delle corporazioni, ai fornai che nelle botteghe di Milano impastavano il pane dei poveri (pane di miglio, detto pan de mej) era vietato produrre il pane dei ricchi e dei nobili (pane bianco, detto micca).
Con un’unica eccezione: il giorno di Natale, quando aristocratici e plebei potevano consumare lo stesso pane, regalato dai fornai ai loro clienti. Era il pan di scior o pan de ton, ovvero il pane di lusso, di puro frumento, farcito con burro, miele e zibibbo.
La più antica, e certa, attestazione di un “Pane di Natale” prodotto con burro, uvetta e spezie si trova in un registro delle spese del collegio Borromeo di Pavia del 1599, quando tali “Pani” furono serviti durante il pranzo natalizio agli studenti.
Alla fine del Settecento si verificò una novità inattesa: la Repubblica Cisalpina s’impegnò a sostenere l’attività degli artigiani e dei commercianti milanesi favorendo l’apertura dei forni, mondo di delizie in cui guizzavano indaffarati i prestinee, e delle pasticcerie, regno incantato degli offellee. Nel corso dell’Ottocento, durante l’occupazione austriaca, il panettone diventò l’insostituibile protagonista di un’annuale abitudine: il governatore di Milano, Ficquelmont, era solito offrirlo al principe Metternich come dono personale.
Panettone di San Biagio
A Milano, è tradizione conservare una porzione del panettone mangiato durante il pranzo di Natale, per poi mangiarlo raffermo a digiuno insieme in famiglia il 3 febbraio, festa di san Biagio, come gesto propiziatorio contro i mali della gola e raffreddori, secondo il detto milanese “San Bias el benediss la gola e el nas (San Biagio benedice la gola e il naso). In questo giorno i negozianti per smaltire l’invenduto vendono a poco prezzo i cosiddetti panettoni di san Biagio, gli ultimi rimasti dal periodo festivo.
I formati del panettone
Il panettone, oggi, è disponibile in due formati: basso e alto. Dal primo è nato il secondo, ma il secondo ha indirettamente fatto evolvere il primo. Ripercorriamo le sue tappe.
- Il panettone basso originario
Come racconta il suo nome, il panettone era un tempo un grosso pane, che fino ai primi del Novecento veniva infornato senza alcun tipo di stampo. La cosa era possibile, perché la quantità di grassi in esso contenuta era piuttosto modesta; niente a che fare con i 600/700 grammi di burro per chilo di farina e i tanti tuorli impiegati oggi da molti pasticcieri (facendo lievitare e infornando senza guaine un panettone moderno, infatti, il risultato sarebbe una focaccia schiacciata, non un panettone).
- Il panettone alto
È Angelo Motta a cambiare le cose. Negli anni Venti, forse influenzato dal lavoro per una partita di duecento kulic per la comunità russa di Milano, sicuramente deciso ad arricchire di grassi il suo panettone, decide di fasciarlo con carta paglia, per dargli uno slancio verticale. Da quest’idea si sviluppa il panettone-fungo, forma che è diventata per decenni la foggia classica del prodotto industriale.
- Il panettone basso moderno
Le pasticcerie di Milano, però, hanno continuato a fare il panettone-pagnotta. Dapprima, senza fasce (o pirottino, come si chiama attualmente la sua forma in un pezzo unico), poi con pirottino basso, reso indispensabile dalla quantità di grassi impiegati. Oggi i due formati convivono ed è difficile dire quale sia il più tradizionale, visto che è il panettone stesso ad essere cambiato.